L'Elogio della non-celebrità 

(ovvero: come sfruttare l’anonimato per creare il proprio mondo)

 

Questo articolo non verrà mai promosso né sui social né su altri canali di informazione pubblica. Il titolo parla chiaro: qui si fa l’elogio del “non essere visti” - almeno non dalla massa. Da quella che gira a duecento all’ora, intendo.

Quindi ecco, con questa introduzione l’obiettivo del mio scritto è definito: non si tratta di onorare chi rifiuta la visibilità in modo assoluto, ma piuttosto di applaudire chi sa starsene nell’ombra e non ha l’incalzante bisogno di sbraitare i propri vanti ai quattro venti. Cosa che, purtroppo, oggigiorno molta gente adora fare.

Il plauso verso chi sa vivere nella non-celebrità andrà di pari passo con la lode verso la non-celebrità stessa, intesa in senso sia letterale (il fatto di non essere famosi) sia figurato (il fatto di vivere nella solitudine) – aspetto quest’ultimo che, contrariamente alla valenza che alcune persone tenderebbero a conferirgli, verrà illustrato come un vantaggio anziché come un fardello.

Volendo rimanere coerente con i miei propositi, ossia volendo evitare il gesto promozionale attivo, mi sono ovviamente chiesta se non era forse il caso di redigere l’articolo soltanto per me stessa, a mo’ di diario, e di lasciarlo in seguito rinchiuso nel PC.

Alla fine, però, mi sono detta no - è da egoisti, tenerlo per me. Mettiamolo in rete: magari chi del caso (ossia chi sa apprezzarlo) lo legge e ne trae profitto. E forse, dai!, mandiamolo pure anche ad amici e “comprendenti” (ovvero a conoscenti che comprendono). Forse ne saranno toccati, e – chissà - anche ispirati.

Forse.

Se però non sarà il caso, non fa nulla.
 

Che cosa si intende per non-celebrità?

D’entrata, vale la pena soffermarsi sul significato di questa parola, la cui definizione (e quindi connotazione), sarà intrinsecamente legata al suo contesto. Come del resto accade per ogni altra voce del dizionario.

La non-celebrità riferita alla vita di un frate di clausura, ad esempio, è neutra. Anzi, è un concetto logico e scontato: perché il termine calza a pennello con la nozione di frate che ognuno di noi possiede: l’immagine di un signore gentile, discreto e riservato. Un monaco, per definizione, non è qualcuno di famoso - a parte forse il Dalai Lama, ma egli è l’eccezione che conferma la regola. E poi nemmeno lui, mi pare, ha migliaia di follower su Twitter (almeno spero!).

La non-celebrità intesa in senso sociale, mediatico o aziendale, invece, ha spesso una connotazione negativa, perché rima con il concetto di lacuna. E quindi di riflesso anche con quello di problema. Penso a chi, per lavoro, ha bisogno di essere visto (artisti o liberi professionisti) e che invece non viene notato.

L’aggettivo “celebre”, tra l’altro, nei principali dizionari dei sinonimi si ritrova nello stesso calderone di “importante” e di “rinomato”. Segno che, per la maggior parte di noi, la celebrità è un indicatore di valore reale.

Io, però, non la vedo esattamente così.

La non-celebrità di cui tratto in questo articolo è un miscuglio tra le due descritte in precedenza. Ed è anzitutto quella che significa “starsene nell’ombra per costruirsi”. Ne parlo, appunto, lodandola e svelandone i segreti – perché sì, la mancanza di fama può senz’altro essere un pregio e un utensile prezioso, se si è in grado di vederla come tale.

Vediamo in quale modo.

 

L’anonimato come occasione per creare il proprio mondo

“Elogio della non-celebrità”, quindi. Sì, ma in che senso? Ossia: a cosa può servire il non essere famosi o, addirittura, il fatto di non essere lodato (dalla massa)?

A molte cose.

Vivere al di fuori delle luci della ribalta consente ad esempio di rallentare e di riposarsi. In tal modo, si darà spazio a numerosi pensieri, tra cui quelli spiacevoli – i quali, se la non-celebrità diventa solitudine, emergeranno inevitabilmente.

In questo caso, ci si confronterà ad esempio con riflessioni del tipo: su che cosa si orienta il mio sistema di valori? Come costruisco la mia autostima? Oppure: perché ho tanto bisogno di essere visto? E anche: perché nessuno mi nota?

Un esercizio non sempre agevole, ammetto. Ma di certo più utile che vivere costantemente sotto i riflettori. Perché il celebre, per curare il suo status, si ritrova molto spesso, suo malgrado, prigioniero del consenso dell’altro.

Il lavoro su sé stessi, quindi, per difficile che sia, aiuta a preservare la propria libertà. E pure a rinforzare la propria autenticità. Un po’ come il vuoto, che a molti fa paura, ma che invece sa essere un pozzo da riempire a piacimento con mille risorse: le nostre.

La non-celebrità, però, sa anche essere utile senza essere necessariamente ardua, perché ci consente anche di rivolgere lo sguardo a tutto ciò che ci piace e che vogliamo preservare: la salute (quando c’è), gli affetti o la nostra dimora. Il lavoro o gli amici. E chi più ne ha più ne metta.

Concentrarsi intensamente sulle varie ricchezze della vita ci permette di goderne appieno, e ciò, di riflesso, rafforza il nostro mondo interiore. Ci aiuta inoltre a far emergere il potenziale creativo che sovente resta chiuso sotto chiave nella mente o nell’inconscio – e di cui molte volte ignoriamo l’esistenza: idee e soluzioni, di solito, preferiscono formarsi nella calma, piuttosto che nella fretta – e i famosi, in genere, nella fretta stanno immersi tutto il giorno.

 

La celebrità è negativa?

Queste considerazioni potrebbero far indurre a credere che la popolarità sia soltanto sconveniente.

Non per forza. Come in tutto, dipende sempre dal dosaggio, dall’utilizzo e, aspetto essenziale, dall’intenzione alla quale essa è associata.

Se, come detto anteriormente, la celebrità diventa uno mezzo per colmare il proprio vuoto interiore, allora sì, può essere svantaggiosa. E se da lì si trasforma in dipendenza, ovvero induce la persona ad esistere soltanto attraverso lo sguardo (e dunque l’approvazione) dell’altro, beh, in quel caso si rivela una trappola emotiva, da cui la “star” non sa più uscire – perché uscire rimerebbe con morire.

Questa forma patologica della popolarità costituisce quindi un’insidia per la crescita interiore, in quanto delega all’altro la responsabilità della nostra vita, affidandogli le chiavi della nostra felicità.

Un gran peccato.

Il successo in versione positiva, però, esiste anch’esso: è fatto, ad esempio, di uno scambio parallelo “ad armi pari” con l’esterno e di maggiori libertà, soprattutto emotive. In quel caso, essere famosi (o anche solo un po’) può indubbiamente essere utile, ad esempio per trovare nuovi sbocchi personali o lavorativi. Purché la “fama” in questione sia fondata su una rete di contatti realmente adatti a noi, ossia di qualità. E, beninteso, a condizione che essa venga scelta e non imposta – ad esempio dalla paura di non essere amati.

Altrimenti si sconfina nuovamente nel bisogno dipendente.

 

L’esterno è una minaccia?

A questo punto, la domanda parrebbe inevitabile. Anche se, in realtà, non è del tutto lecita: perché rinforzare il proprio Io non significa essere in guerra con l’esterno, anzi!

Mi spiego.

Concentrarsi sulla propria persona significa anzitutto creare o nutrire le proprie energie in un contesto sicuro, al riparo dalle tempeste esterne, affinché il meglio di noi possa generarsi, rafforzarsi e in seguito esprimersi senza lo stress di venir divorato dalla massa. Un po’ come fanno gli insetti che si avviluppano nelle pupe, le quali servono da rifugio per la farfalla che nascerà.

Un processo che, paradossalmente o meno, consentirà proprio, una volta espletato, di riuscire a interagire molto meglio con quel mondo esteriore che, quando si è ancora vulnerabili, può avere un influsso negativo su di noi.

 

Sì, ma senza l’altro, uno a un certo punto si sente un po’ inutile, no?

Esatto. Ma il lavoro su sé stessi, se fatto bene e a fondo, consente paradossalmente di attirare verso di noi, udite udite, proprio l’altro. Ma non chiunque: piuttosto chi sa vibrare con il nostro stesso modo di essere. Un po’ come una bacchetta magica che agisce dall’interno verso l’esterno.

Non male, no?

L’incontro e lo scambio si faranno allora senza sforzi. E soprattutto senza l’aspettativa di essere amati o accettati. Aspettativa che, purtroppo, è spesso il motore che ci porta ad andare verso l’altro e che, se non soddisfatta, ci fa immancabilmente cadere nella frustrazione.

E il circolo vizioso riparte.
 

Il coraggio di staccarsi dalle paure

Un lavoro di questo tipo, lo si sarà capito, implica una certa dose di coraggio: quello di osare uscire dalla propria zona di comfort, che in realtà tanto confortevole non è – è piuttosto una “zona conosciuta”. Eppure osare nuove vie per risolvere i problemi può essere pagante - anche se, sulle prime, queste piste ci appaiono insensate.

Questo approccio diverso e coraggioso si applica ai diversi settori della vita: le insoddisfazioni in ambito famigliare, lavorativo, economico o personale.

Osservandoli più da vicino, si può notare, anche se pare strano, che si tratta molto spesso di aspetti legati allo sguardo e all’approvazione dell’altro - i quali, se affrontati con gli occhi puntati all’esterno, rimarranno impregnati delle paure che, all’esterno appunto, si ritrovano. O meglio: che noi vediamo, in quanto specchio delle nostre paure interne.

Ciò alimenterà la paura stessa del cambiamento, il che rafforzerà il problema.

Un effetto-valanga poco vantaggioso.

La non-celebrità consente anche questo: staccarsi dalla zona a rischio di slavine per capire se, magari, ci può essere un legame tra i nostri problemi e le nostre paure, che spesso ci impediscono di essere naturali fino in fondo. E che, a volte, sono tanto profonde e vecchie che non le vediamo più, perché fanno ormai parte dell’inventario. L'assenza di fama ci dà quindi modo di andare oltre a queste paure - là dove si nasconde la soluzione inattesa.

 

Che cosa si fa concretamente nel quotidiano?

Dopo aver lodato la non-celebrità in lungo e in largo, ma in modo astratto, val la pena di osservare più da vicino in quale modo essa, nel quotidiano, si può impiegare concretamente per rinforzare la propria personalità.

Il non essere famosi può ad esempio servire a svolgere le varie attività del quotidiano con più consapevolezza e senza troppe distrazioni. Ma attenzione! Ciò non significa ottimizzare il tempo allo scopo di aumentare la propria produttività, bensì essere più presenti in ogni gesto e respiro, senza pretese di altro genere.

Come? Agendo lentamente e pensando a una cosa alla volta. Nutrendo corpo e spirito con il cibo adatto: alimenti sani, riposo, libri utili e attività piacevoli - i famosi hobbies per i quali altrimenti “non si ha mai il tempo”. Rilassandosi e impregnandosi di cose, di azioni, di idee e di persone positive.

Cose semplici, ma molto efficaci.


 

Ecco, la parata delle lodi del non essere famosi è terminata. Chissà se mai qualcuno avrà saputo trar vantaggio dai suoi fini…

Se del caso, ne gioisco. E altrimenti, fa uguale: questo articolo vivrà dentro al sonno del silenzio – coerente cogli intenti che persegue.

 

(Lorenza Oprandi, febbraio 2021)

 

Se desidera reagire a questo articolo, può scrivermi qui. La ringrazio già sin d'ora!
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